Riqualificare il territorio rigenerando le città: obiettivi, benefici e criticità
Cosa si intende per rigenerazione urbana? L’operazione imprenditoriale su vasta scala di recupero e trasformazione di aree ed edifici dismessi per ambiti territoriali se non estesi (scala intero quartiere o parti di città), almeno ampi e molto articolati
Intervenendo su territorio già compromesso, o per lo meno antropizzato, la rigenerazione urbana riduce il consumo di suolo, visto che senza rigenerazione le esigenze socio-economiche che richiedono la disponibilità di nuovi edifici verrebbero soddisfatte utilizzando nuovo territorio (greenfield). Questo intervento è particolarmente importante in città – come Torino, Milano e Genova – di forte e risalente industrializzazione e dove, quindi, oggi è più grande la presenza di aree abbandonate.
Che benefici comporta la rigenerazione urbana, oltre alla diminuzione del consumo di suolo?
- Qualità della vita (e dell’abitare in particolare);
- produzione, sviluppo e lavoro (immediato per realizzarla e futuro per la maggiore attrattività di investimenti nella città rigenerata);
- ecologia (dell’aria, dell’acqua, della vita);
- contenitori più numerosi e migliori per le nuove attività produttive;
- sicurezza urbana;
- prestigio dell’Italia, il paese delle mille città e dei maggiori valori storico-culturali e turistico-enogastronomici nel mondo;
- futuro migliore per le nuove generazioni.
In sintesi, quindi, è difficile concepire un investimento o un intervento più win-win della rigenerazione urbana: non danneggia nessun valore o diritto e ottiene invece benefici socio-economico-civili-ambientali di grande rilievo. Non solo immediati o fini a sé stessi, ma strategici e durevoli nel tempo.
Ma a quali condizioni si può realizzare effettivamente un ampio processo su scala nazionale di rigenerazione urbana? Le dividerei in due tipi: economico-finanziarie e normative. Essa infatti:
- richiede risorse aggiuntive perché: a) occorrono bonifiche e demolizioni (con i relativi extra-costi) per realizzarla, b) occorre andare concretamente incontro a quelle comunità che ne fossero (temporaneamente) penalizzate;
- richiede semplificazioni burocratiche, uffici speciali e accelerazioni normative perché’ è inconcepibile affrontare il percorso di un recupero urbano su vasta scala con le procedure autorizzative normali, per la sicurezza di investimenti enormi (in genere internazionali) e per la complessità dei problemi tecnico-progettuali coinvolti che gli uffici comunali ordinari non sono in grado di affrontare.
Così correttamente inquadrato il problema, bisogna riconoscere che in Italia siamo ancora ben lontani, non dico dal risolverlo, ma anche solo dall’affrontarlo seriamente. Quali sono i limiti della situazione al riguardo?
Intanto si confonde la rigenerazione urbana pubblica (creazione di nuovi edifici pubblici) -che va benissimo, ma è realizzata con denaro pubblico ed è da sola insufficiente ovunque nel mondo – e la rigenerazione privata che ha bisogno di profittabilità essendo realizzata in regime di mercato. Così come si confonde la rigenerazione urbana -che è il fine – con l’edilizia – che ne è solo lo strumento. Nessuno deve incentivare l’edilizia privata – che è un’industria come le altre- ma il pubblico deve, invece, incentivare la rigenerazione urbana perché diversamente non si realizza ed esiste invece un interesse pubblico e sociale a farla.
Nessuno dei due livelli della decisione pubblica che contano – quello statale delle grandi risorse e dei principi urbanistici uniformi su tutto il territorio nazionale e quello comunale che ha il potere costituzionale della destinazione del territorio e il rapporto diretto con le comunità coinvolte nella rigenerazione urbana – si sono posti correttamente e seriamente l’obiettivo di incentivarla realmente. Qualcosa di meglio hanno fatto regioni come la Lombardia – che ha varato una legge specifica, ben pensata e articolata, la 18/19 – ma per essere immediatamente sabotata dal livello sopra (dello Stato) e da quello sotto (il Comune di Milano). I comuni dovrebbero favorire la rigenerazione urbana con strutture abilitative ad hoc, semplificazioni e accelerazioni speciali per l’approvazione dei progetti di recupero urbano su ampia scala e sconti mirati sugli oneri comunali, lo Stato dovrebbe varare una legge di sostegno che stanzi risorse da attribuire ai comuni per poter agevolare i progetti di rigenerazione urbana nei modi or ora indicati, sic et simpliciter. Nulla di tutto questo, però, è in corso: i comuni – e le loro strutture funzionariali in particolare – difendono i loro orticelli di piccolo potere e di rassicurante (per loro) tran tran, il disegno di legge nazionale sulla rigenerazione urbana ora in discussione al Senato – pur migliorato dall’intervento del Ministero rispetto ai precedenti di matrice parlamentare che parevano quelli del periodo del compromesso storico di fine anni ’70 – prevede comunque un farraginoso meccanismo di commissioni e piani a cascata dal livello nazionale a quello locale transitando per quello regionale: meccanismo lento ad applicarsi e assolutamente inidoneo nelle sue previsioni normative a favorire realmente la rigenerazione urbana privata.
Per cui è ben chiaro a tutti noi responsabili che un processo esteso di rigenerazione urbana imprenditoriale in Italia non parte. E l’unico caso in cui si può realizzare è in città come Milano dove i prezzi di vendita sono così elevati da consentire sia di affrontare gli extra-tempi, sia gli extra-costi del recupero immobiliare. E questo non è un bene per un Paese dove ogni metro quadro di territorio ha un grande valore e il suo abbandono è una perdita secca per la collettività.
di Federico Filippo Oriana, Presidente Nazionale ASPESI – Unione Immobiliare
Articolo tratto da Smart24 Edilizia e Urbanistica,